Spreco alimentare, un problema articolato

Cosa intendiamo per “spreco alimentare”?

Con spreco alimentare ci riferiamo a quei cibi ancora commestibili che nella filiera agroalimentare vengono persi, mal sfruttati o sprecati invece che essere correttamente consumati.
Le cause sono varie. Logiche del risparmio o errori societari. Cause estetiche, i prodotti con imperfezioni di forma o colore vengono scartati perché ritenuti non appetibili dal consumatore. Problemi legati alla logistica nella GDO (Grande Distribuzione Organizzata) come prodotti in prossimità di scadenza e/o non trasferibili perché delicati o perché è stata interrotta la catena del freddo.
Tutto ciò si traduce oltre che in perdite economiche per le aziende coinvolte, soprattutto in un impatto ambientale dal momento che quegli alimenti hanno richiesto risorse energetiche (elettricità e carburante per i mezzi agricoli), pesticidi, acqua, consumo di suolo, ecc.

Varie definizioni

Non esiste una definizione univoca per spreco alimentare. Con tale espressione ci riferiamo ad aspetti anche differenti della stessa questione. La FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations) le definisce perdite alimentari in riferimento a una:

diminuzione in termini di quantità e qualità del cibo causata da decisioni o azioni intraprese lungo la filiera agroalimentare, dalla produzione, al raccolto, allo stoccaggio, fino al trasporto.

L’HLPE (High Level Panel of Experts on Food Security and Nutrition) usa invece le parole spreco alimentare riferendosi in particolare alla seconda parte della filiera agroalimentare, ovvero quella composta dai rivenditori, dagli operatori della somministrazione alimentare e dai consumatori.
Infine, ancora la FAO, dà una definizione complessiva e più generica di perdite e sprechi alimentari, definendoli come una:

diminuzione in termini di quantità e qualità del cibo in tutte le fasi della filiera alimentare, dalla produzione al consumo.

Unico fenomeno, più sfumature

La progressiva crescita industriale degli ultimi decenni ha condotto in parte ad acuire fenomeni già esistenti e in parte a crearne di totalmente nuovi. Ci troviamo ad affrontare disagi mai visti prima, ma anche i fenomeni che già conoscevamo (ai quali avevamo già in parte dato una soluzione) ora assumono misure e forme che sfuggono al nostro controllo e alla nostra capacità di programmazione.
Negli ultimi anni la sensibilità nei confronti dello spreco alimentare è notevolmente aumentata.
Sia produttori che consumatori ne hanno compreso l’importanza e contribuiscono attivamente alla ricerca di soluzioni sia immediate che a medio e lungo termine.

Un’idea alternativa: ToGoodToGo

L’impegno attivo nella ricerca di potenziali soluzioni deve partire da tutti gli elementi attivi nella filiera agro-alimentare, dai produttori ai consumatori. Le aziende devono sviluppare policy più consapevoli che l’impatto ambientale ha una ricaduta anche su quello economico. D’altra parte, i consumatori devono sviluppare pratiche alimentari più sostenibili e di conseguenza più sane, come ad esempio una programmazione dei pasti meno frettolosa e maggiormente ponderata.
Una soluzione che certamente non risolve il problema ma offre un contributo in termini di best practice applicabili è proposta dall’applicazione To good to go. L’idea di base è semplice ed efficace, e soprattutto coinvolge sia aziende che consumatori.
I venditori di cibo mettono a disposizione prodotti non venduti durante un servizio (ristoranti) o alimenti in scadenza (supermercati). Attraverso le cosiddette magic box nelle quali non si sceglie e non si conosce il contenuto) i consumatori acquistano a un prezzo molto conveniente dei prodotti invenduti che finirebbero altrimenti buttati.
L’applicazione ha già fatto registrare 6,6 milioni di consumatori, 23 mila attività coinvolte nella vendita e 10 milioni di magic box contenenti cibo salvato dallo spreco alimentare.

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